La coltura del nocciolo

(dal Corriere di Caprarola anno 1954)

I noccioleti allignano in ristrette zone d’Italia, particolarmente di natura vulcanica e collinare, come la zona dell’Etnea, l’Avellinese, la Cimina, la Cuneese. La zona Cimina dà uno dei prodotti migliori per gusto e finezza di sostanze grasse: i centri più importanti di produzione sono Caprarola, Vallerano, Fabrica di Roma. A Caprarola, fino alla fine del secolo scorso, si producevano solo alcune centinaia di quintali annui, specie della qualità lunga, e la coltura era ristretta a qualche appezzamento delle proprietà maggiori. Ma col sopraggiungere delle crisi vinicole a ripetizione (gravissime quelle del 1905 e 1906) gli agricoltori caprolatti trasformarono molti vigneti in ricchi e fiorenti noccioleti, con rilevante benessere economico. Anche nella Valle di Vico, dove già il nocciolo allignava nelle contrade Vite, Oriolo e Monte Venere i grandi proprietari ne estesero la coltivazione, specie lungo le pendici di quest’ultima località, ad opera del Comm. Palestini. Ma un fatto saliente doveva portare Caprarola all’avanguardia della produzione di nocciole e farne il più importante centro di coltura; un fatto che si determinò intorno al 1920-1921: la grande e diremmo quasi rivoluzionaria, affrancazione e liberazione dei territori caprolatti dalla servitù feudale delle corrisposte in natura ad opera e per merito della benemerita Cassa Rurale diretta dal Presidente Sig. Nicola Fantini e del Cav. Silvestro Dorati sotto la guida paziente e tenace del Dr. Giustino Fantini.

La grande operazione rivoluzionò la nostra agricoltura liberandola da una schiavitù esosa e determinò una intensa e larga bonifica nella Valle di Vico. Là dove erano sterpaglie e roveti, i terreni vennero dissodati e messi a coltura e, per chilometri e chilometri, ogni piccolo proprietario delle pendici montane che fanno corona all’azzurrissimo lago di Vico, iniziò la piantagione di noccioleti. Ormai tutti i pendii sono verdeggianti e, di anno in anno, la coltura del nocciolo sta scendendo nelle zone pianeggianti, specie ai margini dei grandi appezzamenti seminativi. In concomitanza all’estendersi dei noccioleti nella Valle di Vico, i vigneti a sud della cittadina continuano anch’essi ad essere trasformati nella più redditizia coltura e pertanto, 

la superficie coltivata a noccioli aumenta sempre più: e se essa all’epoca della prima Sagra si avvicinava ai mille ettari, ora, dopo un quadriennio, essa ha largamente superato tale ci-fra. Caprarola è ormai il primo centro produttivo del Lazio, e forse d’Italia nella passata stagione superò i 15.000 quintali di produzione. Gli agricoltori caprolatti meritano un particolare encomio per l’ardore con cui stanno largamente attuando la coltura del nocciolo e per i perfezionamenti tecnici che via via introducono, selezionando le qualità e praticando razionali e copiose concimazioni, che rendono le piantagioni un modello di vigore e di bellezza.

Cristoforo Liuzzi

«Quanno le nocchie se cojevono»…

La coltura del nocciolo ha subito, con il passare degli anni, radicali cambiamenti, sia dal punto di vista della cura della pianta, che per quanto riguarda la raccolta del suo frutto. La raccolta di questo prodotto, fondamentale per l’economia del nostro paese, fino ad una trentina di anni fa veniva fatta staccando il frutto direttamente dalla pianta. «l’è la Madonna de mezzo Agosto» (15 Agosto) tutti i proprietari davano inizio alla raccolta delle nocciole, per prime si coglievano le cosiddette “nocchie lunghe”, qualità oggi quasi scomparsa, in quanto per la sua forma non si è potuta adattare all’evoluzione della raccolta. Verso le tre o le quattro del mattino, “la caporala” passava per le vie del paese per radunare l’opra” e una volta al completo la squadra di operai s’incamminava a piedi, con “la pannatella” (panno da cucina legato in modo da contenere: un pezzo di pane, qualche pomodoro o pesca e per quelli più fortunati una fetta di mortadella di somaro), verso il luogo di lavoro; le zone dove allora era più intensa la coltivazione erano: “Fecuccia, contrada Zucchiri, Contea, Gavicchia, Fonno Tosò, la Staziò, Funtana Lampana, campo ‘Spedale, lo Prano”, la valle di Vico prima della seconda guerra mondiale era coltivata quasi interamente a grano e granoturco, piante di nocciolo si trovavano più che altro nella località Canale.

Gli operai iniziavano a lavorare appena faceva giorno, la maggior parte di loro erano donne, le quali effettuavano la raccolta manuale staccando il frutto dai rami e deponendolo nel «parannanzi» mentre gli uomini per facilitar loro questo compito, provvedevano salendo sugli alberi ad abbassare i rami e avvicinarli ad esse. Un operaio era addetto all’imballaggio, cioè faceva svuotare le parannanze piene di nocciole in un sacco, provvedendo nel contempo alla sistemazione delle stesse.

Una volta ben pieni, i sacchi venivano caricati su carretti trainati da cavalli o somari o direttamente su questi ultimi per essere trasportati fino all’aia. Sistemato il frutto sull’aia, si lasciava appassire al sole per qualche giorno, poi pian piano si batteva con un rastrello in modo da far uscire le nocciole dalle bucce, le quali venivano eliminate con i denti del rastrello e sistemate in un angolo dell’aia, venivano ripassate a mano dalle operaie per recuperare qualche nocciola rimasta all’interno. A questo punto si provvedeva alla conciatura tramite un grande «corvello», per eliminare eventuali residui di foglie e polvere. La conciatura doveva essere effettuata quando tirava vento di «favogno», perché tirando sempre nella stessa direzione non permetteva alla polvere di ritornare indietro, cosa che avveniva con altri venti. Se il vento adatto era assente si preparavano i mucchi di nocciole e si aspettava il tramonto per eseguire questa operazione.

Una volta pulite e ben asciutte, le nocciole si mettevano nei sacchi e si immagazzinavano nei granai aspettando il momento buono per la vendita. Le ore lavorative della giornata di un operaio non erano prestabilite, di sicuro erano tante, s’incominciava come già detto, appena l’alba e si ritornava a casa di nuovo a piedi, all’imbrunire. La fatica e la stanchezza si faceva sentire fin dalla tarda mattinata, ma gli operai non si scoraggiavano, la maggior parte di loro erano giovani spensierati, e nonostante la fatica, il poco cibo e la scarsa paga, scherzavano e ridevano tutto il giorno e talvolta intonavano tutti in coro canzoni e stornelli.

Assessorato ai servizi sociali

Cooperativa “Il Ponte”